L’ingegnosità metaforica del concettualismo letterario barocco trova il suo parallelismo nelle elaborate architetture, nella molteplicità delle vedute e delle prospettive, nell’accumulo di variate visioni di scorci e di sotto in su del quadraturismo .
Dai primi decenni del XVII secolo, le architetture dipinte per nobilitare pareti, per ampliare lo spazio reale con apparecchiature capaci di ingannare l’occhio innalzando e/o dilatando anche le coperture degli ambienti assumono un’importanza particolare e un’ampia diffusione non solo in Italia; infatti, pittori italiani quali Angelo Michele Colonna, Agostino Mitelli, Vincenzo Bacherelli, i Bibiena, Andrea Pozzo diffondono questo genere pittorico in numerosi paesi europei, fra questi la Spagna, il Portogallo e l’ Austria.
Le immagini della ‘gallery’ propongono al lettore diversi itinerari del quadraturismo per una migliore conoscenza dell’architettura illusionistica, la cui spazialità ben si connette con la sensibilità barocca, fino ai suoi epigoni.
La scuola di Jacopo Chiavistelli accoglie motivi mitelliani e bolognesi privati della loro complessità costruttiva fino ai primi del Settecento risulta orientata verso un barocco non privo di influenze buontalentiane o, comunque, del tardo Cinquecento.

Jacopo Chiavistelli, che dà inizio a Firenze al genere della quadratura, fu attivo a palazzo Pitti fin dal 1656; su commissione del cardinal Giovan Carlo de’ Medici dipinse la volta dell’ultima sala del mezzanino situato fra il piano terreno e il primo piano, poi detto della Muletta.
In occasione del matrimonio di Cosimo con Margherita Luisa d’Orléans, nel 1661, eseguì la decorazione a fresco delle volte dell’appartamento terreno nell’ala destra del cortile, nel 1666, decorò a fresco la biblioteca di Cosimo situata al secondo piano. Nel 1671, per la granduchessa madre Vittoria della Rovere dipinse, nell’appartamento terreno del cardinal Leopoldo, volte e pareti di due sale e di una galleria.


Le carte dell’archivio Corsini permettono di indicare Rinaldo Botti, uno dei più importanti allievi di Jacopo Chiavistelli, fra gli artisti impegnati nel cantiere decorativo del grande palazzo del Parione, nel periodo compreso fra il 1694 ed il 1709 in cui l’edificio fu oggetto di un importante intervento commissionato dal marchese Filippo Corsini; dal 1685 al 1697 nello stesso palazzo fu attivo anche il Chiavistelli.

Questa interessante quadratura, attribuita al Botti si imposta su tre livelli sovrapposti di cui, il mediano, nei lati lunghi si esplicita in una loggia ionica architravata, a tre campate, prospettante la navata mediante una balaustra; nei lati brevi il costrutto lascia intravedere un fornice ad arco doppio, affiancato da colonne. L’asse principale trasversale viene segnalato da elementi aggettanti su cui s’impostano vasi con fiori che diventeranno uno stilema caratterizzante il repertorio decorativo di Rinaldo Botti, come i festoni dorati tenuti da borchie pendule, i putti alati, i cartigli con medaglioni, la cornice dentellata a delimitare lo spazio figurativo.

La decorazione architettonica, dipinta nel 1717 , è stata attribuita a Rinaldo Botti.
Nell’oratorio delle Minime Ancille della Santissima Vergine dette Le Montalve risulta evidente, nella costruzione prospettica della apparecchiatura architettonica, l’uso di due punti focali, uno schema prospettico che si adatta bene ad un ambiente di ridotte dimensioni come questo.

Nel 1729 il Botti fu attivo nella chiesa di Santa Lucia alla Castellina presso il convento dei padri Carmelitani riformati. La ricca e complessa quadratura delimita la Gloria di Santi Carmelitani fra Santa Maria Maddalena de’ Pazzi e Sant’Andrea Corsini dipinta da Niccolò Nannetti. La decorazione pittorica conferisce alla navata un aspetto consono alla scenografica decorazione in stucco del presbiterio, realizzata nel 1704 da Carlo Marcellini, in una perfetta fusione dei valori architettonici, pittorici e scultorei.
Nel 1731 troviamo Rinaldo Botti alla Castellina al fianco di Vincenzo Meucci, ad occuparsi anche del rinnovamento interno degli ambienti conventuali, con la decorazione di due corridoi del convento; al piano terra dipingono dei finti sovrapporti entro cui inseriscono i ritratti dei santi e beati carmelitani. Al secondo piano i due frescanti, nella finta loggetta aperta su uno scorcio paesaggistico propongono uno schema architettonico tra i più collaudati nelle quadrature di quegli anni.

Questo montaggio illustra come Marco Sacconi, nella chiesa di San Ferdinando in Montedomini, intorno al 1714 abbia costruito sulla volta ungulata a tutto sesto la proiezione anamorfica di un impianto prospettico rigidamente centrale impostato idealmente in relazione alla posizione dell’osservatore disposto al centro del vano.

Questa macchina architettonica dipinta intorno al 1722 da Giuseppe Tonelli, allievo di Jacopo Chiavistelli, risulta essere l’esempio fiorentino più aggiornato sul modello romano di Andrea Pozzo, con l’arco trionfale coronato da un timpano spezzato curvilineo, sostenuto da coppie di colonne con paraste di ribattuta a risolvere il lato corto del costrutto illusionistico.

Il primo intervento decorativo di Pietro Anderlini ancora visibile, di grande risalto per l’unità che riesce a conferire ai vari spazi a lui affidati, è quello relativo alle pareti e alle lunette del coro e dell’abside della Badia Fiorentina, firmato e datato al 1734, a completamento della decorazione eseguita da Giovanni Domenico Ferretti con le scene della Lapidazione di Santo Stefano, l’Assunzione e l’Incoronazione della Madonna.
Le quadrature dipinte nel coro sono definite superiormente da una cornice architettonica reale e inquadrate lateralmente da due paraste composite che sostengono una trabeazione canonica, che prosegue virtualmente nel dipinto interrompendosi in corrispondenza della finestra superiore, reale ad ovest, virtuale sulla parete a est. Pietro Anderlini ha realizzato due ambienti uguali coperti da una volta con unghie impostata su quattro colonne marmoree composite.


L’architettura illusionistica dipinta da Domenico Maria Papi nel 1739, che trasforma il soffitto della sagrestia in una cupola aperta al centro a mostrare la Madonna in gloria, s’imposta su un’alta trabeazione al livello della finestra che viene così coinvolta nell’organizzazione dello spazio virtuale. Nella parte superiore della parete, per ottenere precise simmetrie, viene inserita una finta finestra. La luce e il colore giocano un ruolo fondamentale nella costruzione dell’inganno architettonico.

La congregazione di San Tommaso d’Aquino si avvale di Domenico Stagi che, con il Grix, viene incaricato nel 1782 della realizzazione dell’arredo decorativo dell’atrio dell’oratorio.
L’artista riesce a superare i molteplici condizionamenti dell’architettura reale, quali aperture di porte e finestre, coinvolgendoli in un tutto virtuale e riproponendoli con un efficace effetto di dilatazione virtuale. Finte statue monocrome alloggiano in edicole virtuali coperte da conchiglie che, come nel San Carlo dei Barnabiti e nell’aula della Compagnia del Santissimo Sacramento, articolano le pareti e suggeriscono l’asse mediano principale; le porte, reali e dipinte, trovano continuità nell’ordine superiore in fittizie finestre balaustrate oltre le quali si intravedono brani di architettura urbana che replicano gli edifici dell’intorno dell’oratorio.

Dagli intercolumni si scorgono vedute paesaggistiche in cui si inseriscono brani di architettura classica; gli elementi vegetali si estendono anche nello sfondato superiore della parete e nella volta, andando a rafforzare nell’osservatore l’effetto di continuità tra gli spazi virtuali.

Queste ricostruzioni sono riferite al complesso conventuale delle monache vallombrosane dedicato a Santa Verdiana ed a San Giovanni Gualberto, fondatore dell’ordine.
Fra il 1747 ed il 1751 la volta viene dipinta con quadrature di Ferdinando Melani, attorno allo sfondato con la Gloria di Santa Verdiana di Vincenzo Meucci.

La fabbrica viene completamente ristrutturata nel 1603 e, successivamente, ampliata con la realizzazione della contigua cappella della Compagnia del Santissimo Sacramento. Nei primi anni dell’Ottocento viene realizzata la soffittatura della navata con un incannicciato piano intonacato, arricchito da uno sfondato prospettico, una delle più tarde manifestazioni del quadraturismo fiorentino.
Giuseppe Castagnoli sul soffitto piano dell’aula della chiesa realizza una prospettiva centrale che evoca una galleria soprastante il vano reale della chiesa, coperta da un’ ampia volta al centro della quale, in una cornice mistilinea, si apre l’inserto figurativo rappresentante la Gloria di San Pietro.
